«La perdita della natura decommercializzata dell’attività svolta dagli enti collettivi non societari costituiti nelle forme dell’associazione non riconosciuta e la conseguente qualificazione dell’attività dall’associazione svolta quale attività commerciale comporta, ove la stessa attività venga svolta da più associati in comune tra loro, la qualificazione dell’ente collettivo quale società di fatto e la conseguente applicazione del regime di trasparenza agli associati che siano qualificabili quali soci della medesima società di fatto»
Così si esprime la Corte di Cassazione con Ordinanza del 11/01/2023 n. 546 (allegata), pubblicata in questi giorni. Per l’ente associativo, pertanto, il rispetto del principio di democraticità, non solo deve essere garantito dallo statuto, ma deve essere rispettato e riscontrato in fatto. Ne deriva che il mancato rispetto, nel concreto, di tale principio (ad esempio il riscontro della mancata convocazione delle assemblee; ovvero il mancato svolgimento delle assemblee dei soci o anche la partecipazione in assemblea dei soli componenti del Consiglio direttivo), unitamente allo svolgimento di attività commerciale dell’ente associativo, implica la riqualificazione dello stesso ente associativo quale “società di fatto”, anziché di “ente non commerciale”, se l’attività economica commerciale svolta è riconducibile a taluno dei soci che agiscano comportandosi nella sostanza come, appunto, una società commerciale di fatto. Ne consegue anche, in tali casi, l’applicazione del regime di trasparenza fiscale dei redditi prodotti dall’ente ai “soci di fatto” così individuati.